Dalla sconfitta alla vendetta: il massacro italiano di Sciara Sciat

De la défaite à la vengeance : le massacre italien de Sciara Sciat

di Gabriele Scarparo

Più di un secolo fa, nel settembre 1911, l’Italia liberale guidata all’epoca da Giovanni Giolitti invase la  Tripolitania e la Cirenaica, le regioni storico-geografiche che insieme al Fezzan costituiscono la moderna Libia. L’invasione avrebbe dovuto dare un nuovo impulso al colonialismo italiano. Dopo la guerra d’Abissinia e la disfatta di Adua (1896), infatti, le mire espansionistiche italiane avevano subito un duro colpo e all’intento del paese l’opinione pubblica era spaccata: c’era chi proponeva un progetto di rilancio coloniale, alla stregua delle più grandi potenze europee come Gran Bretagna e Francia; c’era poi chi invece, come una parte dei socialisti italiani, premeva per mettere fine ad ogni impresa.

Giolitti, giunto al suo quarto mandato come capo del Governo, dopo diversi tentennamenti abbracciò definitivamente l’ala più conservatrice del parlamento dando inizio alla conquista italiana della Libia, allora possedimento del decadente Impero Ottomano. Tra le motivazioni che spinsero il governo italiano a dichiarare guerra ai turchi c’era anche quella di evitare che un’altra sponda africana finisse per cadere in mano ai francesi o agli inglesi. La Libia controllata da Londra o Parigi avrebbe precluso all’Italia ogni spazio d’azione nel Mediterraneo.

Dopo una lenta ma costante azione diplomatica volta ad ottenere il beneplacito delle grandi potenze europee, il 28 settembre 1911 l’Italia indirizzò all’Impero Ottomano un ultimatum irricevibile:

Durante una lunga serie di anni il Governo italiano non hai mai cessato di far constatare alla Sublime Porta la necessità assoluta di mettere fine allo stato di disordine e di abbandono in cui la Tripolitania e la Cirenaica sono state lasciate dalla Turchia e che queste regioni siano ammesse a godere dei medesimi progressi compiuti in altre parti dell’Africa settentrionale. Questa trasformazione imposta dalle esigenze generali della civiltà costituisce per l’Italia un interesse utile di primissimo ordine a cagione della vicinanza di quelle regioni alle coste italiane. […] Il Governo. italiano, vedendosi in tal modo ormai forzato a pensare alla tutela della sua dignità e dei suoi interessi, ha deciso di procedere all’occupazione militare della Tripolitania e della Cirenaica. Questa soluzione è la sola che l’Italia possa adottare, ed il Governo italiano si aspetta che il Governo imperiale dia gli ordini occorrenti affinché essa non incontri da parte degli attuali rappresentanti ottomani alcuna opposizione ed i provvedimenti che necessariamente ne deriveranno possano effettuarsi senza difficoltà. Accordi ulteriori saranno presi dai due Governi per regolare la situazione definitiva che ne risulterà. 

L’ultimatum chiedeva dunque alla Sublime Porta di lasciare i suoi possidemineti nel nord Africa. Sarebbe stata cura del governo di Roma portare in Tripolitania e Cirenaica la civilizzazione di cui l’Italia si faceva paladina, nell’ambito di una sorta di “colonialismo dal volto buono”.

Scaduto l’ultimatum, il giorno seguente cominciarono le ostilità. Le truppe italiane, comandate dal generale Carlo Caneva, sbarcarono sulle coste libiche e in pochi giorni occupando Tobruk, Tripoli e Bengasi.

Il governo italiano che sperava nell’appoggio della popolazione locale e in una flebile reazione turca dovette ben presto ricredersi. Quasi immediatamente intorno alle città occupate cominciarono a stendersi le prime trincee, segno delle difficoltà riscontrate dall’invasore italiano. La popolazione locale infatti si organizzò in bande armate e con l’aiuto dei soldati turchi iniziarono una strategia di guerriglia di cui l’esercito regolare italiano non seppe venire a capo.

Nell’oasi di Sciara Sciat, un sobborgo di Tripoli, il 23 ottobre 1911 interi reparti italiani furono colti di sorpresa e massacrati dalle forze turco-libiche. Tre giorni più tardi nella località di El-Messri lo stesso scenario. In totale più di 600 soldati italiani persero la vita nel giro di 72 ore, tra cui molti bersaglieri. Secondo la relazione ufficiale italiana «molti erano stati accecati, decapitati, crocifissi, sviscerati, bruciati vivi o tagliati a pezzi».

Anche la stampa europea diede grande risalto alle violenze dei turco-libici, facendo emergere ulteriori particolari sulle sevizie subite dai soldati italiani. Alcuni corpi furono inchiodati alle palme da dattero o all’interno delle moschee, ad alcuni ufficiali vennero cuciti gli occhi, molti cadaveri smembrati, altri sepolti vivi fino alle spalle e lasciati morire. Felice Piccioli, uno dei bersaglieri superstiti, scrisse riguardo alle crocifissioni: «I nostri di Sciara Sciat giacciono insepolti ovunque: molti sono inchiodati alle piante dei datteri come Gesù Cristo»

La reazione italiana fu violentissima. Tripoli fu messa a ferro e fuoco e, secondo lo storico Nicola Labanca, 1.800 abitanti sui 30.000 che si contavano all’epoca in città furono fucilati o impiccati per rappresaglia. Molti di più furono quelli arrestati o deportati in Italia. Tra il 25 ed il 30 ottobre furono imbarcati in condizioni inumane oltre 4.000 arabi con destinazione Ustica, Ponza, Caserta, Gaeta, Favignana. Gran parte di loro morì di stenti e malattie.

Una volta proclamata la legge marziale, i fermi, i processi e le esecuzioni dei libici vennero eseguite con poca o nessuna formalità. Mentre in Italia l’opinione pubblica continuava a parlare del “tradimento arabo”, le cancellerie europee accusarono Roma di atrocità e constatarono l’incapacità italiana di venire a capo della vicenda libica.

La guerriglia popolare tuttavia continuò anche dopo Sciara Sciat. Con un paese ancora da conquistare, Giolitti convinse il re Vittorio Emanuele III a firmare un regio decreto con cui si dichiarava l’annessione della Tripolitania e della Cirenaica (5 novembre). La mossa intendeva prevenire ulteriori critiche  diplomatiche da parte delle potenze europee ed aprire una seconda fase della guerra. Pochi mesi dopo l’Impero Ottomano, che nel frattempo dovette far fronte alla crescente tensione nei Balcani, cominciò a valutare di svincolarsi dal conflitto.

Si arrivò così al Trattato di Losanna: il 18 ottobre 1912 i rappresentanti diplomatici italiani e turchi siglarono la pace. L’Impero Ottomano si impegnò a ritirare i propri ufficiali dalla Tripolitania e dalla Cirenaica. La Libia, di cui l’esercito italiano controllava pressoché la sola costa, fu annessa all’Italia.

Cominciò così la “missione civilizzatrice” italiana in nord Africa. Al di là degli intenti propagandistici, dell’Italia liberale prima e di quella fascista in seguito, in Libia come in Somalia, Etiopia ed Eritrea gli italiani mostrarono il loro volto peggiore.


De la défaite à la vengeance : le massacre italien de Sciara Sciat

Il y a plus d’un siècle, en septembre 1911, l’Italie libérale dirigée à l’époque par Giovanni Giolitti envahit la Tripolitaine et la Cyrénaïque, les régions historique-géographiques qui, avec le Fezzan, constituent la Libye moderne. L’invasion aurait dû donner une nouvelle impulsion au colonialisme italien. Après la guerre d’Abyssinie et la défaite d’Adua (1896), en effet, les visées expansionnistes italiennes avaient subi un coup dur et l’opinion publique était divisée : il y avait ceux qui proposaient un projet de renaissance coloniale, comme les plus grandes puissances européennes tels que la Grande-Bretagne et la France ; puis il y avait ceux qui, comme une partie des socialistes italiens, faisaient pression pour mettre fin à tout ça.

Giolitti, qui était à l’époque à son quatrième mandat à la tête du gouvernement, après plusieurs hésitations, embrassa finalement l’aile plus conservatrice du parlement et commença la conquête italienne de la Libye, alors possession du décadent Empire ottoman. Parmi les raisons qui ont conduit le gouvernement italien à déclarer la guerre aux Turcs, il y avait aussi le souci d’empêcher qu’une autre partie africaine ne tombe entre les mains des Français ou des Anglais. La Libye, contrôlée par Londres ou Paris, aurait empêché l’Italie d’avoir un espace d’action dans la Méditerranée.

Après une action diplomatique lente mais constante visant à obtenir l’approbation des grandes puissances européennes, l’Italie adressa le 28 septembre 1911 un ultimatum inadmissible à l’Empire ottoman :

Pendant une longue série d’années, le gouvernement italien n’a jamais cessé de rappeler à la Sublime Porte la nécessité absolue de mettre fin à l’état de désordre et d’abandon dans lequel la Tripolitaine et la Cyrénaïque ont été laissées par la Turquie et de permettre à ces régions de bénéficier des mêmes progrès que dans d’autres parties de l’Afrique du Nord. Cette transformation imposée par les besoins généraux de la civilisation constitue pour l’Italie un intérêt utile de premier ordre en raison de la proximité de ces régions avec la côte italienne. […] Le gouvernement italien, se voyant ainsi contraint de penser à la protection de sa dignité et de ses intérêts, a décidé de procéder à l’occupation militaire de la Tripolitaine et de la Cyrénaïque. Cette solution est la seule que l’Italie puisse adopter, et le gouvernement italien attend du gouvernement impérial qu’il donne les ordres nécessaires pour qu’il ne rencontre aucune opposition de la part des représentants ottomans actuels et que les mesures qui en découleront nécessairement puissent être mises en œuvre sans difficulté. D’autres dispositions seront prises par les deux gouvernements pour régler la situation finale qui en résultera.

L’ultimatum demandait donc que la Sublime Porte de quitter ses possessions en Afrique du Nord. Il aurait été de la responsabilité du gouvernement de Rome d’amener en Tripolitaine et en Cyrénaïque la civilisation dont l’Italie se proclamé championne, dans une sorte de “bon colonialisme”.

Après l’expiration de l’ultimatum, les hostilités commencèrent le lendemain. Les troupes italiennes, commandées par le général Carlo Caneva, débarquèrent sur la côte libyenne et en quelques jours occupèrent Tobrouk, Tripoli et Benghazi.

Le gouvernement italien, qui faisait confiance dans le soutien de la population locale et dans une faible réaction turque, dut rapidement changer d’avis. Presque immédiatement autour des villes occupées, les premières tranchées commencèrent à s’étendre, signe des difficultés rencontrées par l’envahisseur italien. La population locale s’organisa en bandes armées et, avec l’aide des soldats turcs, entama une stratégie de guérilla que l’armée régulière italienne ne réussit pas à éradiquer.

Dans l’oasis de Sciara Sciat, une banlieue de Tripoli, le 23 octobre 1911, des divisions italiennes entières furent prises par surprise et massacrées par les forces turc-libyennes. Trois jours plus tard, dans le village d’El-Messri, le même scénario. Au total, plus de 600 soldats italiens perdirent la vie en 72 heures, dont de nombreux bersaglieri. Selon le rapport officiel italien, “beaucoup avaient été aveuglés, décapités, crucifiés, éviscérés, brûlés vifs ou mis en pièces“.

La presse européenne accorda une grande importance à la violence des turc-libyens, mettant en lumière d’autres détails des abus subis par les soldats italiens. Certains corps furent cloués à des palmiers dattiers ou à l’intérieur de mosquées, certains officiers ont eu les yeux cousus, de nombreux corps démembrés, d’autres enterrés vivants jusqu’aux épaules et laissés pour mort. Felice Piccioli, l’un des bersaglieri survivants, écrivit à propos des crucifixions : “Notre peuple de Sciara Sciat repose partout sans sépulture : beaucoup sont cloués à des palmiers dattiers comme Jésus-Christ“.

La réaction italienne fut très violente. Selon l’historien Nicola Labanca, 1 800 habitants sur les 30 000 qui compté à l’époque Tripoli furent abattus ou pendus en représailles. Beaucoup d’autres furent arrêtés ou déportés en Italie. Entre le 25 et le 30 octobre, plus de 4 000 Arabes furent embarqués dans des conditions inhumaines à destination d’Ustica, Ponza, Caserta, Gaeta, Favignana. La plupart d’entre eux moururent à cause de difficultés et de maladies.

Une fois proclamée la loi martiale, les détentions, les procès et les exécutions de Libyens furent effectués avec peu ou pas de formalités. Alors que l’opinion publique italienne continua de parler de “trahison arabe”, les chancelleries européennes accuserent Rome d’atrocités et constaterent l’incapacité de l’Italie à résoudre l’affaire libyenne.

La guérilla populaire cependant continua, même après Sciara Sciat. Avec un pays encore à conquérir, Giolitti persuada le roi Vittorio Emanuele III de signer un décret royal déclarant l’annexion de la Tripolitaine et de la Cyrénaïque (5 novembre). Cette décision visait à éviter de nouvelles critiques diplomatiques de la part des puissances européennes et à ouvrir une seconde phase de la guerre. Quelques mois plus tard, l’Empire ottoman, qui devait entre-temps faire face à la tension croissante dans les Balkans, commença à envisager de se libérer du conflit.

C’est comme ça qu’on arriva au Traité de Lausanne : le 18 octobre 1912, les représentants diplomatiques italiens et turcs signèrent la paix. L’Empire ottoman s’engagea de retirer ses officiers de la Tripolitaine et de la Cyrénaïque. La Libye, dont l’armée italienne ne contrôlait presque que la côte, fut annexée à l’Italie.

C’est ainsi que commença la “mission civilisatrice” italienne en Afrique du Nord. Au-delà des intentions de propagande, d’abord de l’Italie libérale et puis de l’Italie fasciste, en Libye comme en Somalie, en Ethiopie et en Erythrée, les Italiens ont montré leurs pires visages.

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Una risposta a "Dalla sconfitta alla vendetta: il massacro italiano di Sciara Sciat"

  1. Il massacro avvenne poiché gli italiani si trovarono gli insorti davanti e i turchi alle spalle. Si sentirono traditi dai libici che avevano trattato umanamente. Addirittura evitarono di utilizzare l’artiglieria per non rovinare le coltivazioni locali. La rappresaglia fu una conseguenza ovvia.

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