
di Gabriele Scarparo
Si parla di un toro di bronzo che Falaride fece costruire ad Akragas. In esso egli faceva entrare degli uomini e poi, accendendovi intorno il fuoco, causava una tortura tale ai condannati per cui, quando il bronzo si era riscaldato, l’individuo moriva arrostito ed arso, e quando il suppliziato urlava al culmine del dolore, dalla macchina un suono simile ad un muggito veniva a colpire gli ascoltatori. (Polibio, Storie)
Quando si parla di miti o di storie che affondano le proprie radici in epoche lontane, è sempre difficile distinguere il vero dalla fantasia. Spesso hanno subito trasformazioni tali che possono essere irriconoscibili dalla loro versione originale. Forse però il fascino di queste storie è insito nella loro stessa natura.
Il mito del Toro di Falaride non fa eccezione. Nel tempo diversi autori hanno riportato la storia del toro di bronzo, con dettagli più o meno simili ma anche anche con significative differenze. Da Polibio allo storico romano Paolo Orosio; da Diodoro Siculo a Luciano di Samosata; da Ovidio finanche ad arrivare a Dante Alighieri.
Falaride è ricordato come un tiranno di Akragas, l’attuale Agrigento, vissuto nel VI secolo a.C. Che sia stato realmente oppure no un sovrano tanto crudele, non vi è dubbio che la sua memoria sia rimasta per sempre legata ad un macchinario di sadica tortura. Secondo il mito egli commissionò a Perilao, un fonditore ateniese, la costruzione di un toro bronzeo cavo al suo interno, abbastanza grande da poter contenere un uomo disteso.
Qui dentro il tiranno faceva rinchiudere, secondo alcune fonti, degli stranieri, secondo altre, dei concittadini condannati a morte. Sotto la pancia del toro veniva quindi acceso il fuoco che scaldando il metallo “arrostiva” la sua vittima. La morte era lenta e straziante. Sembra che grazie ad un ingegnoso sistema nella testa dell’animale le urla del malcapitato venissero trasformate in un suono simile ad un muggito. Perilao stesso fu vittima della sua invenzione.
Lo scultore Perilao, avendo costruito per il tiranno Falaride un toro di bronzo come strumento di punizione dei cittadini, sperimentò per primo la grandezza di tale punizione: alcuni, infatti, quando architettano qualcosa di male nei confronti degli altri sono soliti essere vittime dei propri capricci. (Diodoro Siculo, Biblioteca storica)
Ovidio, nel narrare questa storia, aggiunge anche che a Perilao fu mozzata la lingua prima del tragico supplizio.
Ecco invece come Dante riferisce di questo marchingegno nel Canto XXVII dell’Inferno:
Come ‘l bue Cicilian che mugghiò prima
Col pianto di colui (e ciò fu dritto),
Che l’avea temperato con sua lima,
Mugghiava con la voce dell’afflitto,
Sì che, con tutto ch’e’fosse di rame,
Pure el pareva dal dolor trafitto.
Luciano di Samosata, retore greco vissuto nel II secolo d.C., ribalta invece il mito nel tentativo di riscattare la figura di Falaride, la cui memoria sarebbe stata vittima di una “dannazione” postuma. Luciano, infatti, racconta che fu il malvagio Perilao a recarsi da Falaride portandogli un toro che avrebbe potuto utilizzare come mezzo di castigo.
Perilao era un uomo delle mie parti, un buon fabbro, ma un uomo malvagio. Egli, fraintendendo le mie intenzioni, credeva di farmi cosa gradita architettando qualche strumento di punizione come se a me piacesse infliggere torture a piacimento. Dopo averlo preparato, mi portò un toro bellissimo riprodotto alla perfezione; aveva bisogno solo del movimento e del muggito per sembrare vivo. Vedendolo, subito esclamai che il toro fosse degno del tempio di Apollo a Delfi, e che bisognava inviarlo al dio. Perilao, lì vicino, disse: “Perché non metti alla prova la sua abilità e le funzioni che esso offre?” E, aprendo il toro dalla schiena, disse: “Se vuoi punire qualcuno, dopo averlo inserito in questa macchina e averlo chiuso, metti questi flauti davanti alle narici del toro, ordina di accendere il fuoco e quello soffrirà e griderà avendo dolori incessanti; il grido attraverso i flauti diventerà per te canto melodioso, farà risuonare lamenti e produrrà un muggito così triste che colui che viene punito ti allieterà risuonando del suono del flauto”. Io, quando sentii tutto ciò, provai avversione per la rovinosa trovata di quell’uomo e, avendo in odio il funzionamento di quella macchina, architettai una mia personale vendetta contro di lui. Allora dissi: “Suvvia, Perilao, se la tua non è una vana promessa, mostramelo sperimentando il funzionamento della macchina e imitando coloro che gridano, in modo da farmi vedere se realmente, attraverso i flauti, risuonano i canti di cui parli”. Una volta che Perilao si convinse, ordinai, quando egli era dentro, di attizzare il fuoco, dicendo: “Prendi la giusta ricompensa per la tua arte, affinché tu sia il primo a risuonare di quella musica di cui sei stato l’inventore”. Così egli subì il giusto castigo godendo i benefici della sua invenzione. Tuttavia io, ordinando di estrarlo ancora vivo, affinché quell’opera mirabile non venisse deturpata dalla sua morte, ordinai di gettarlo da alcune rupi privo di sepoltura e, per purificare il toro, l’ho inviato a voi perché lo consacraste al dio. (Luciano di Samosata, Falaride I)
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TRA RIMOZIONE E OBLIO
LA MEMORIA STORICA ITALIANA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
Autore: Gabriele Scarparo Editore: LuoghInteriori Collana: Saggi Li Anno edizione: 2022
In commercio dal: 20 aprile 2022 Pagine: 146 p., Brossura EAN: 9788868643430