La spada di Damocle

L’épée de Damoclès

di Gabriele Scarparo

L’espressione spada di Damocle è comunemente utilizzata per alludere ad una minaccia persistente. Spesso fa riferimento ad un grave pericolo che incombe sulla persona e che potrebbe abbattersi su di essa in qualsiasi momento. Molte volte viene associata all’assunzione di un ruolo di grande responsabilità che consegna, oltre che onori, anche molti oneri e preoccupazioni.

Quest’espressione idiomatica trova le proprie origini nel IV secolo a.C. ed è indissolubilmente legata al nome del protagonista di una curiosa leggenda, Damocle appunto.

La sua vicenda era riportata in un’opera, purtroppo andata perduta, dello storico Timeo di Tauromenio (Taormina), vissuto tra IV e III secolo a.C. Quella che ci è giunta a noi è la versione tramandataci da Marco Tullio Cicerone nel V libro delle Tusculanae disputationes (I secolo a.C.).

Damocle era un membro della corte di Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa vissuto a cavallo tra il V e il IV secolo a.C. Sotto la guida di quest’ultimo la poleis divenne potentissima, estendendo i suoi confini a quasi tutta l’attuale Sicilia.

I successi militari consegnarono a Dionisio immense ricchezze e abbondanza di averi, tali che agli occhi di Damocle il tiranno poteva essere considerato l’uomo più fortunato e felice dei suoi tempi. Dionisio propose allora a Damocle di sperimentare in prima persona questa felicità: gli fu concesso di poter vivere un giorno intero come Dionisio stesso, seguendo tutte le sue consuetudini.

Damocle accettò l’offerta e cominciò ad assaporare quella felicità degna di un grande signore: durante il banchetto serale fu fatto sdraiare su un letto d’oro, circondato da pregiati tessuti e servi obbedienti pronti a scattare ad ogni cenno del suo capo. Le tavole furono imbandite di cibi prelibati, di coppe d’oro e d’argento tanto che Damocle, come aveva ipotizzato, si sentiva veramente fortunato a vivere in quel lusso.

Proprio in quel momento Dioniso comandò che fosse calata dal soffitto, sopra la testa del suo cortigiano, una spada lucente tenuta attaccata da un solo crine di cavallo. Un crine così sottile che avrebbe potuto spezzarsi da un momento all’altro.

Da quel momento in poi Damocle non ebbe più alcun giovamento dai piaceri del cibo e del vino, dalla presenza dei servitori e di tutte quelle abbondanti ricchezze. I suoi pensieri erano tutti rivolti a quella spada mortale appesa sopra la sua testa.

La felicità appena assaporata, quella beatitudine di cui Damocle pensava godesse più di tutti Dionisio, scomparve così come era giunta, lasciando il posto a inquietudini e incertezza. Pregò quindi il tiranno di poter andare via, lasciando quella vita che in modo troppo superficiale aveva giudicato beata.

In questo modo Dionisio fece comprendere al suo cortigiano che, nonostante le grandi ricchezze e gli agi di cui egli stesso godeva, questi non gli garantivano né l’incolumità contro i suoi nemici né l’assenza di preoccupazioni e pericoli.

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L’épée de Damoclès

L’expression épée de Damoclès est couramment utilisée pour faire allusion à une menace persistante. Il fait souvent référence à un grave danger qui plane sur la personne et qui peut frapper à tout moment. Elle est souvent associée à la prise d’un rôle de grande responsabilité qui apporte non seulement des honneurs mais aussi de nombreux fardeaux et préoccupations.

Cette expression idiomatique trouve son origine au IVe siècle av. J.-C. et est inextricablement liée au nom du protagoniste d’une curieuse légende, Damoclès.

Son histoire a été rapportée dans une œuvre, malheureusement perdue, de l’historien Timée de Tauromenium (Taormine), qui a vécu entre le IVe et le IIIe siècle avant Jésus-Christ. Ce qui nous est parvenu est la version transmise par Marcus Tullius Cicero dans le cinquième livre des Tusculanae disputationes (Ier siècle avant J.-C.).

Damoclès était membre de la cour de Denys l’Ancien, tyran de Syracuse qui a vécu entre le Ve et le IVe siècle avant J.-C.. Sous sa direction, le poleis est devenu extrêmement puissant, étendant ses frontières à presque toute la Sicile actuelle.

Ses succès militaires apportèrent à Denys une immense richesse et une abondance de biens, si bien qu’aux yeux de Damoclès, le tyran pouvait être considéré comme l’homme le plus chanceux et le plus heureux de son temps. Denys proposa alors à Damoclès de faire lui-même l’expérience de ce bonheur : il lui permit de vivre une journée entière comme Denys lui-même, en suivant toutes ses coutumes.

Damoclès accepta l’offre et commença à goûter au bonheur d’un grand seigneur : au cours du banquet du soir, on le fit coucher sur un lit d’or, entouré d’étoffes fines et de serviteurs obéissants prêts à bondir à chaque signe de tête. Les tables étaient chargées de mets délicieux, de coupes en or et en argent, si bien que Damoclès, comme il l’avait supposé, se sentait vraiment chanceux de vivre dans un tel luxe.

À ce moment précis, Denys ordonna qu’une épée brillante soit descendue du plafond au-dessus de la tête de son courtisan, retenue par un simple crin de cheval. Un crin de cheval si fin qu’il aurait pu se briser à tout moment.

Dès lors, Damoclès ne jouit plus des plaisirs de la table et du vin, de la présence de serviteurs et de toute cette abondante richesse. Il ne pensait qu’à l’épée mortelle suspendue au-dessus de sa tête.

Le bonheur qu’il venait de goûter, la félicité dont Damoclès pensait que Denys jouissait le plus, disparut comme il était venu, laissant place à l’agitation et à l’incertitude. Il supplia alors le tyran de le laisser partir, laissant derrière lui la vie qu’il avait trop superficiellement jugée béate.

Denys fit ainsi comprendre à son courtisan que, malgré la grande richesse et le confort dont il jouit lui-même, ceux-ci ne lui garantissent ni la sécurité contre ses ennemis ni l’absence de soucis et de dangers.

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TRA RIMOZIONE E OBLIO

LA MEMORIA STORICA ITALIANA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
Autore:
Gabriele Scarparo
Editore:
LuoghInteriori
Collana:
Saggi Li
Anno edizione:
2022
In commercio dal:
20 aprile 2022
Pagine:
146 p., Brossura
EAN:
9788868643430
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