Gilgamesh, il primo eroe

Gilgamesh, le premier héros

di Gabriele Scarparo

Gilgamesh, dove ti affretti?
Non troverai mai la vita che cerchi.
Quando gli dei crearono l’uomo, gli diedero in fato la morte,
ma tennero la vita per sé.
(Epopea di Gilgamesh)

Prima di Achille, prima di Ulisse e prima di tutti gli eroi omerici ci fu Gilgamesh.

La mitica figura del re sumero di Uruk fu tracciata in un poema antichissimo, oggi conosciuto con il nome di Epopea di Gilgamesh, risalente al 2000 a.C. Redatta in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla, l’opera ha lasciato tracce di sé in tutto il Medio Oriente: ne esistono infatti diverse versioni rinvenute più o meno ovunque in quella che era l’antica Mesopotamia, regione un tempo fertile che si estende tra il Tigri e l’Eufrate, ma anche al di fuori di essa come in Anatolia o in Palestina.

In parte uomo, in parte divino, Gilgamesh è il primo eroe (proto-eroe) della letteratura. Secondo alcuni studiosi la sua genesi trova radici storiche in un personaggio realmente esistito, un antico re sumero divinizzato in seguito alla sua morte; secondo altri è invece, più che un ‘uomo divinizzato’, una sorta di ‘dio umanizzato’ fulgido esempio della mitologia sumerica.

La sua storia traccia un solco per tutte quelle dei secoli successivi: egli sfida gli dei, combatte giganti e abbatte creature meravigliose, percorrendo infine un lungo viaggio alla ricerca di ciò che gli eroi più di tutti anelano: l’immortalità.

Non solo i poemi eroici però si sono ispirati alle sue avventure. Persino la Bibbia ha attinto al suo racconto. Nell’Epopea di Gilgamesh si trova infatti il primo resoconto di un diluvio divino che avrebbe spazzato via l’umanità, con tanto di arca e di un Noè più antico del Noè stesso, dal nome di Utnapishtim. È dalle parole di quest’ultimo che viene narrata per la prima volta la millenaria storia del Diluvio Universale

Il successo dell’opera d’altro canto lo si deve ai numerosi temi di cui essa tratta: l’amicizia, la natura, il rapporto tra umano e divino, la morte; il tutto sullo sfondo di una continua ricerca della conoscenza oltre che dell’immortalità e di sé stessi.

Epopea di Gilgamesh, Tavoletta V. Museo Sulaymaniyah, Iraq

Così inizia il poema:

Di colui che vide ogni cosa, voglio narrare al mondo; di colui che apprese e che fu esperto in tutte le cose. Di Gilgamesh, che raggiunse la più profonda conoscenza, che apprese e fu esperto in tutte le cose.

Forse a causa e per merito delle diverse versioni che confluirono in forma scritta nella sua Epopea, Gilgamesh è rappresentato come un personaggio ricco di contrasti, di luci e di ombre. La prima impressione che si ha di lui è quella di un re guerriero e oppressore: per le sue imprese di conquista chiama a raccolta in continuazione i giovani di Uruk (antichissima città i cui resti si trovano nell’odierno Iraq), provocando le proteste delle loro madri e delle loro mogli. Come se non bastasse si arroga il diritto di consumare il matrimonio con le spose dei suoi sudditi in una sorta di antichissimo ius primae noctis. La popolazione, stremata, invoca l’aiuto degli dei i quali decidono di creare un essere di pari forza fisica in grado di sconfiggere Gilgamesh.

Viene generato così Enkidu, un uomo selvaggio che vive con e tra gli animali salvandoli dalle trappole dei cacciatori. Proprio a causa di ciò questi ultimi si rivolgono al re di Uruk: egli invia una donna, una prostituta sacra, che riesce a ‘civilizzare’ Enkidu, convincendolo a incontrare Gilgamesh. Dopo un iniziale incontro-scontro in cui i due contendenti si equivalgono per forza, nasce una bellissima amicizia che li porterà ad affrontare insieme straordinarie avventure.

Gilgamesh ed Enkidu combattono e uccidono il gigante Humbaba, guardiano della Foresta dei cedri, abbattendone poi tutti i suoi alberi.

Gilgamesh colpisce per primo, poi Enkidu e al terzo colpo, subito Humbaba giace. Ma egli era il custode dei cedri; il suo potere faceva tremare le foreste. Ora, la sua morte provoca un terremoto, le montagne si muovono, colline e pianure si spostano. Ma Gilgamesh abbatte ancora i cedri, Enkidu ne strappa le radici attorcigliate per un lungo tratto fino all’Eufrate. Poi essi voltano le spalle alla Foresta e tornano a casa.

Trascorso del tempo serenamente Gilgamesh riceve infine la visita di Ishtar, la dea dell’Amore e della Guerra, la quale si offre in sposa al re di Uruk. Questi però la rifiuta elencandone i difetti e tutti i nomi dei suoi vecchi amanti finiti in disgrazia. Ishtar, in preda all’ira ascende al cielo e convince il padre Anu a liberare il Toro celeste contro colui che l’aveva offesa. Insieme all’ormai fraterno amico Enkidu, Gilgamesh si batte contro quella bestia così letale da poter uccidere centinaia di uomini con un solo sbuffo. I due hanno la meglio anche questa volta. Enkidu addirittura schernisce la dea lanciandole contro una coscia del Toro appena abbattuto.

Gilgamesh e Enkidu si battono contro il Toro celeste

La notte lo stesso Enkidu sogna un’assemblea di dei riunitasi per decidere la sorte dei due eroi. I fratelli hanno offeso due volte. Prima hanno ucciso Humbaba, poi il Toro celeste. Perciò uno di essi deve morire. Essendo Gilgamesh re di Uruk e in parte divino, la scelta cade proprio su Enkidu. Dopo aver raccontato l’inquietante sogno all’amico, egli si ammala e in pochi giorni muore.

Gilgamesh piange e si dispera per la dolorosa perdita, riflettendo sul significato stesso della morte. É consapevole che anche lui un giorno dovrà morire e il pensiero lo tormenta. Così intraprende un lungo viaggio tra deserti, antri di oscure montagne e mari in cerca dell’immortalità. Alla fine del suo tragitto incontra Utnapishtim, l’uomo scampato al diluvio, a cui gli dei hanno concesso l’immortalità.

Egli racconta a Gilgamesh la storia del diluvio: per Enlil, dio della Terra, l’umanità era diventata così indisciplinata e chiassosa che andava punita. Suo fratello Enki, dio della Saggezza, riuscì però ad avvisare un uomo, Utnapishtim appunto, fornendogli tutte le indicazioni necessarie per costruire una grande zattera sui cui avrebbe dovuto far salire la sua famiglia, i rappresentanti di tutti i mestieri umani e tutte le specie animali.

Il diluvio arrivò e in sei giorni e sette notti spazzò via ogni cosa.

Per un giorno intero la tempesta infuriò, il vento del sud si affrettò per immergere le montagne nell’acqua: come un’arma di battaglia la distruzione si abbatte sugli uomini. A causa del buio il fratello non vede più suo fratello, dal cielo gli uomini non sono più visibili. Gli dei ebbero paura del diluvio, indietreggiarono, si rifugiarono nel cielo di An. […] Sei giorni e sette notti soffia il vento, infuria il diluvio, l’uragano livella il paese. Quando giunse il settimo giorno, la tempesta, il diluvio cessa la battaglia, dopo aver lottato come una donna in doglie. Si fermò il mare, il vento cattivo cessò e il diluvio si fermò. Io osservo il giorno, vi regna il silenzio. Ma l’intera umanità è ridiventata argilla. Come un tetto è pareggiato il paese.

Utnapishtim sulla zattera

Placatesi le piogge, la zattera si incagliò su un monte. Nei giorni seguenti Utnapishtim liberò quindi una colomba, una rondine e un corvo; quest’ultimo non tornò indietro, avendo trovato un luogo dove mangiare e posarsi, segno che finalmente le acque si stavano ritirando. A quel punto tutti uscirono dall’imbarcazione e Utnapishtim fece un sacrificio agli dei, i quali si pentirono delle loro azioni. Enlil stesso rese immortale Utnapishtim e sua moglie.

E ora, riguardo a te Gilgamesh, chi potrà far radunare per te gli dei così che tu possa trovare la vita che stai cercando? L’unico consiglio dell’uomo divenuto immortale a colui che cerca l’immortalità è quello di provare a stare sveglio per sei giorni e sette notti ma Gilgamesh, stremato dal suo lungo viaggio, cade quasi immediatamente in un sonno di una settimana. Al suo risveglio sembra ormai persa ogni speranza di conquistare la vita eterna e Gilgamesh è pronto a fare rientro a Uruk quando Utnapishtim, su consiglio della moglie, premia l’impegno e le fatiche del re confidandogli la presenza, nelle profondità del mare, di una pianta in grado di sconfiggere la morte. L’eroe si immerge, cerca la pianta miracolosa e la trova.

Questa pianta è la pianta della paura (della morte), grazie alla quale l’uomo raggiunge nel suo cuore la vitalità. La voglio portare a Uruk, l’ovile; la voglio dare da mangiare a un vecchio e così provare la pianta! Il suo nome è: “L’uomo anziano è diventato giovane”. Io stesso la voglio mangiare, così da tornare a come ero da giovane.


Durante il viaggio di ritorno, però, la pianta gli viene rubata da un serpente che ne aveva odorato la fragranza. Gilgamesh si siede e piange, rendendosi conto di aver fatto tanta fatica senza ottenere nulla. Per chi viene versato il sangue del mio cuore? Non ho ottenuto nulla di buono per me stesso, ma ho fatto del bene invece al serpente.

La storia si conclude con il rientro dell’eroe a Uruk e con Gilgamesh che descrive la grandiosità della città e dei suoi templi. Se è vero che nel racconto la vita eterna gli è sfuggita, grazie alla sua Epopea Gilgamesh ha però conquistato un’immortalità diversa, forse l’unica possibile; quella che si cristallizza nella memoria delle donne e degli uomini, attraverso il tempo e le ere.

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Gilgamesh, le premier héros

Où vas-tu Gilgamesh?
La vie que tu cherches tu ne la trouveras pas.
Lorsque les grands dieux créèrent les hommes, c’est la mort qu’ils leur destinèrent
et ils ont gardé pour eux la vie éternelle.
(Épopée de Gilgamesh)

Avant Achille, avant Ulysse et avant tous les héros homériques, il y avait Gilgamesh.

La figure mythique du roi sumérien d’Ouruk a été retracée dans un ancien poème, aujourd’hui connu sous le nom d’Épopée de Gilgamesh, datant de 2000 avant J-C. Écrite en caractères cunéiformes sur des tablettes d’argile, l’œuvre a laissé des traces dans tout le Moyen-Orient : on en trouve en effet différentes versions un peu partout dans l’ancienne Mésopotamie, région autrefois fertile entre le Tigre et l’Euphrate, mais aussi en dehors, en Anatolie ou en Palestine.

Dieu aux deux tiers, pour un tiers homme, Gilgamesh est le premier héros (proto-héros) de la littérature. Selon certains chercheurs, sa genèse est historiquement ancrée dans un personnage réel, un ancien roi sumérien qui a été déifié après sa mort ; selon d’autres, plutôt qu’un “homme déifié”, il est une sorte de “dieu humanisé”, un exemple brillant de la mythologie sumérienne.

Son histoire trace un sillon pour toutes celles des siècles suivants : il défie les dieux, combat des géants et tue des créatures merveilleuses, pour finalement entreprendre un long voyage à la recherche de ce que les héros désirent par-dessus tout : l’immortalité.

Mais les poèmes héroïques ne sont pas les seuls à avoir été inspirés par ses aventures. Même la Bible s’est inspirée de son histoire. Dans l’Épopée de Gilgamesh, nous trouvons le premier récit d’un déluge divin qui aurait balayé l’humanité, avec une arche et un Noé plus âgé que Noé lui-même, du nom d’Utnapishtim. C’est à partir des paroles de ce dernier que l’histoire séculaire du Déluge Universel est racontée pour la première fois…

Le succès de l’œuvre est dû aux nombreux thèmes qu’elle aborde : l’amitié, la nature, la relation entre l’humain et le divin, la mort, le tout sur fond de recherche continue de la connaissance, de l’immortalité et de soi.

Épopée de Gilgamesh, Tablette V. Musée Sulaymaniyah, Irak

C’est ainsi que le poème commence :

Celui qui a tout vu, celui qui a vu les confins du pays le sage, l’omniscient qui a connu toutes choses, celui qui a connu les secrets, et dévoilé ce qui était caché, nous a transmis un savoir nous a transmis un savoir
d’avant le déluge.

C’est peut-être à cause des différentes versions qui se sont rassemblées sous forme écrite dans son épopée que Gilgamesh est dépeint comme un personnage plein de contrastes, d’ombres et de lumières. La première impression que l’on a de lui est celle d’un roi guerrier et oppresseur : pour ses exploits de conquête, il convoque sans cesse les jeunes d’Ouruk (une cité très ancienne dont les vestiges se trouvent dans l’Irak actuel), provoquant les protestations de leurs mères et de leurs épouses. Comme si cela ne suffisait pas, il s’arroge le droit de consommer le mariage avec les femmes de ses sujets dans une sorte d’ancien ius primae noctis. La population, épuisée, invoque l’aide des dieux qui décident de créer un être de force physique égale capable de vaincre Gilgamesh.

Ainsi fut créé Enkidou, un homme sauvage qui vivait avec et parmi les animaux, les sauvant des pièges des chasseurs. C’est précisément à cause de cela que les chasseurs se tournent vers le roi d’Ouruk : il envoie une femme, une prostituée sacrée, qui parvient à “civiliser” Enkidou, en le convainquant de rencontrer Gilgamesh. Après une première rencontre/affrontement où les deux prétendants sont forcément égaux, une belle amitié naît qui les conduira à affronter ensemble des aventures extraordinaires.

Gilgamesh et Enkidu combattent et tuent le géant Houmbaba, gardien de la forêt de cèdres, puis abattent tous ses arbres.

Gilgamesh et Enkidou ont frappé à mort Houmbaba le gardien de la forêt et son cri de mort fait trembler l’Hermon et le Liban. Ils s’avancent avec leurs armes dans la forêt et coupent les cèdres. Sur les rives de l’Euphrate le courant emporte les cèdres vers Ourouk.

Après quelque temps, Gilgamesh reçoit enfin la visite d’Ishtar, la déesse de l’Amour et de la Guerre, qui s’offre en mariage au roi d’Ouruk. Il la refuse en énumérant ses défauts et tous les noms de ses anciens amants disgraciés. Ishtar, dans un accès de rage, monte au ciel et convainc son père Anou de libérer le Taureau céleste contre celui qui l’a offensée. Avec son ami Enkidou, désormais comme un frère pour lui, Gilgamesh se bat contre cette bête si mortelle qu’elle peut tuer des centaines d’hommes d’un seul grognement. Cette fois encore, les deux hommes ont le dessus. Enkidou nargue même la déesse en lui lançant une patte du taureau qu’il vient de tuer.

Gilgamesh et Enkidou se battent contre le Taureau céleste

La nuit, Enkidou lui-même rêve d’une assemblée de dieux réunis pour décider du sort des deux héros. Parce qu’ils ont tué le Taureau céleste parce qu’ils ont tué Houmbaba et coupé les cèdres des montagnes l’un d’entre eux doit mourir. Étant Gilgamesh roi d’Ouruk et en partie divin, le choix se porte sur Enkidu. Après avoir raconté à son ami ce rêve troublant, il tombe malade et meurt quelques jours plus tard.

Gilgamesh pleure et se désespère de cette perte douloureuse, réfléchissant sur le sens même de la mort. Il est conscient qu’un jour il devra lui aussi mourir et cette pensée le tourmente. Il entreprend donc un long voyage à travers les déserts, les sombres cavernes des montagnes et les mers à la recherche de l’immortalité. Au terme de son voyage, il rencontre Outa-Napishtim, l’homme qui a échappé au déluge, à qui les dieux ont accordé l’immortalité.

Il raconte à Gilgamesh l’histoire du déluge : selon Enlil, dieu de la Terre, l’humanité était devenue si indisciplinée et turbulente qu’elle devait être punie. Cependant, son frère Enki, dieu de la Sagesse, réussit à prévenir un homme, Utnapishtim, en lui donnant toutes les informations nécessaires pour construire un grand bateau sur lequel mettre à l’abri sa famille, les représentants de tous les métiers humains et de toutes les espèces animales.

Le déluge arriva et en six jours et sept nuits balaya tout.

Les tempêtes du vent du sud se déchaînèrent tout un jour elles se déchaînèrent et s’amplifièrent elles couvraient même les sommets des montagnes et massacraient les gens. Comme dans une grande cohue le frère ne voyait plus son frère les gens ne se distinguaient plus du ciel les dieux mêmes s’épouvantaient de la clameur de ce déluge. Ils s’enfuyaient devant eux et montaient sur les plus hauts des cieux d’Anou, vers le septième ciel. Les dieux rampaient, accroupis comme des chiens hors du monde. […] Six jours et sept nuits passèrent les tempêtes du déluge soufflaient encore les tempêtes du sud couvraient le pays. Le septième jour les tempêtes du déluge qui telle une armée avaient tout massacré sur leur passage diminuèrent d’intensité la mer se calma le vent s’apaisa la clameur du déluge se tut.

Outa-Napishtim sur le bateau

Quand les pluies se calmèrent, le bateau se retrouva auprès d’une montagne. Au cours des jours suivants, Outa-Napishtim libéra une colombe, une hirondelle et un corbeau, qui ne renvirent pas, ayant trouvé un endroit où manger et se percher, signe que les eaux étaient en train de se retirer. À ce moment-là, tout le monde sorta du bateau et Outa-Napishtim fit un sacrifice aux dieux, qui se repentirent de leurs actions. Enlil lui-même rendit Outa-Napishtim et sa femme immortels.

Et maintenant, quant à toi Gilgamesh, qui pourra faire en sorte que les dieux te rassemblent pour que tu trouves la vie que tu cherches ? Le seul conseil de l’homme immortel au chercheur de l’immortalité est d’essayer de rester éveillé pendant six jours et sept nuits, mais Gilgamesh, épuisé par son long voyage, tombe presque immédiatement dans un sommeil d’une semaine. À son réveil, tout espoir de conquérir la vie éternelle semble perdu et Gilgamesh est prêt à retourner à Ouruk lorsque UtnapishtimOuta-Napishtim, sur les conseils de sa femme, récompense les efforts et le labeur du roi en lui confiant la présence, dans les profondeurs de la mer, d’une plante capable de vaincre la mort. Le héros plonge, cherche la plante miraculeuse et la trouve.

Cette plante est une plante merveilleuse l’homme avec elle peut retrouver la force de la vie je vais l’emporter avec moi à Ourouk aux remparts. Je la partagerai avec les gens leur en ferai manger son nom sera: « le vieillard retrouvant sa jeunesse ». Moi-même j’en mangerai à la fin de mes jours pour que ma jeunesse me revienne.

Mais sur le chemin du retour, la plante est volée par un serpent qui en avait senti le parfum. Gilgamesh s’assied et pleure, réalisant qu’il a travaillé si dur pour rien. Pour qui ai-je versé le sang de mon cœur ? Je n’ai fait aucun bien pour moi-même mais pour le serpent, lion de terre j’ai fait le bien !

L’histoire se termine par le retour du héros à Ouruk et la description par Gilgamesh de la grandeur de la ville et de ses temples. S’il est vrai que dans le récit la vie éternelle lui a échappé, grâce à son Épopée Gilgamesh a cependant conquis une autre immortalité, peut-être la seule possible, celle qui se cristallise dans la mémoire des femmes et des hommes, à travers le temps et les âges.

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